sabato 6 febbraio 2010

E’ – ancora una volta – tempo di scelte: cosa faccio del mio TFR?


Cari amici di Love My Job!,

è con grande piacere che torno a scrivere per il nostro blog preferito. Prima di affrontare l’argomento del post, mi preme evidenziare come Love My Job! abbia fino ad oggi trovato al proprio interno le risorse per andare avanti sempre e comunque, nonostante la volubilità di autori e direttori editoriali ... Non pensate sia un bellissimo risultato? Noi crediamo ancora in questo progetto, voi rimanete dalla nostra parte!


Oggi parliamo di TFR. Ne abbiamo sentito parlare mille volte, in TV e sui giornali, a lavoro o in Università. Un tema di grande attualità: ma davvero sappiamo di cosa stiamo parlando? Si tratta del Trattamento di Fine Rapportoovvero la famosa “liquidazione” che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore al termine del rapporto di lavoro dipendente. Il meccanismo che regola il TFR è davvero semplice: ogni anno i lavoratori dipendenti accantonano il 6,91% della propria RAL (Retribuzione Annua Lorda) per poterne godere al momento della cessazione del rapporto di lavoro, al lordo della rivalutazione annua stabilita dalla legge (0,75 tasso inflazione + 1,5%).

Da questo semplice meccanismo di accantonamento/godimento, si è passati ad una vera e propria possibilità di gestione e investimento del TFR. A partire dal 2005 infatti (Decreto Legislativo del 5 dicembre numero 252), per far fronte alle previsioni di abbassamento delle prestazioni pensionistiche INPS (alcune stime dicono che chi andrà in pensione tra 40 anni potrà beneficiare mensilmente del 35-40% dell’ultimo stipendio), il lavoratore iscritto alla previdenza obbligatoria in data successiva al 28/04/1993 può destinare integralmente il proprio TFR a delle forme pensionistiche complementari (Fondi Pensione).

Attenzione però! Abbiamo detto “possibilità di gestione” ... Entro 6 mesi dalla data di assunzione infatti, il lavoratore può e deve scegliere se destinare il TFR a forma pensionistica complementare oppure lasciare il TFR in azienda. In caso di mancata comunicazione del proprio volere entro i 6 mesi, il TFR del lavoratore sarà automaticamente destinato a forma pensionistica complementare. Questo è un punto molto importante: l’adesione a forme pensionistiche complementari (quindi anche in caso di mancata comunicazione del proprio volere entro i 6 mesi) è una scelta IRREVERSIBILE. Se fosse lo slogan di una campagna pubblicitaria potrebbe essere “una firma è per sempre ...”.

Investire il TFR in un Fondo Pensione potrebbe effettivamente permettere un notevole incremento, anno dopo anno, della cifra accantonata. Consiglio a tutti coloro che sono in procinto di effettuare una scelta di questo tipo di leggere con estrema attenzione le note informative dei Fondi. Potrete capire effettivamente su che tipo di strumenti state investendo i vostri soldi (titoli di stato, obbligazioni, azioni) e, di conseguenza, che tipo di rischio state accettando. Investire in azioni potrebbe pagare moltissimo (magari il 50% in più della cifra accantonata), così come potrebbe portare ad una decurtazione importante del vostro patrimonio a causa di una crisi dei mercati (in molti stanno rimpiangendo una scelta di questo tipo dopo aver perso il 30% del proprio TFR in un solo anno, il 2009). Attenzione perché è possibile scegliere di destinare alla previdenza complementare anche più del proprio TFR, sfruttando vantaggi fiscali ed incentivi aziendali.

Non destinare il TFR a forma pensionistica complementare è di certo una forma molto più sicura (la rivalutazione è stabilita per legge) ma non permette grossi guadagni. Inoltre si tratta di un meccanismo più flessibile in quanto il lavoratore può scegliere di godere della liquidazione del proprio TFR al termine di ogni singolo rapporto lavorativo. Al contrario, dopo l’investimento in un Fondo Pensione, il TFR potrà esclusivamente essere liquidato al momento della pensione o, come previsto per specifiche casistiche, dopo un certo numero di anni (es: acquisto prima casa, trattamenti sanitari etc..).

Spero che queste notizie possano essere utili a qualcuno di voi! Ma soprattutto ... siete cicala o formica? Preferite il rischio o la stabilità? In ogni caso, il consiglio che mi sento di dare è questo: informatevi bene prima di fare questa scelta. Prendetevi il vostro tempo, leggete e documentatevi. Date pure ascolto ai colleghi che già hanno effettuato la scelta, ma scegliete esclusivamente in base alla vostra testa ed alle vostre esigenze. Dopo tutto si tratta del VOSTRO TFR ... Trattatelo come merita.

Os


domenica 10 gennaio 2010

Love My Job 2010!!!

Cari LMJ! fans,


le feste sono finite e Love My Job! è di nuovo in azione!


Cosa abbiamo preparato per voi durante le feste??... vi diamo qualche anticipazione:


- Nei prossimi giorni, dopo una lunga pausa, torneremo a parlare di comunicazione con tantissimi nuovi consigli legati alla comunicazione business e personale.


- Pubblicheremo una nuova intervista per il ciclo "English Corner", dopo il successo della prima intervista a Matt Wakeling.


- Parleremo dei nuovi strumenti di business web2.0 e imprenditorialità virtuale  (Linkedin, Youniverse World, Facebook ads, ecc.)


-  Pubblicheremo una nuova intervista per il ciclo "Da grande voglio fare..." 
(vi siete dimenticati già dell'intervista ad Ivano Bongiovanni?)


E inoltre, ci piacerebbe sapere da voi...di cosa vorreste parlare?
Che cosa vorreste chiederci?
Ecco perchè abbiamo creato un indirizzo email dedicato al blog:
lovemyjobblog@gmail.com 


Scriveteci per farci avere i vostri feedback, proporre argomenti interessanti, 
diventare autori LMJ! o per qualsiasi altro motivo.


Bene! Aspettando le grandi novità annunciate, 
non ci resta che augurarvi un ottimo 2010!


Love My Job! Team


p.s. Per restare sempre aggiornati sulle novità apparse sul blog, iscrivetevi 
alla newsletter qui a destra, così ogni volta che ci saranno nuovi post sarete 
avvisati direttamente con un'email automatica!





giovedì 24 dicembre 2009

Buone Feste!!!



Cari LMJ! Fans,


anche Love My Job! andrà a festeggiare il Natale e l'anno nuovo, prendendo una piccola pausa invernale. 

Ma non preoccupatevi, non vi abbandoneremo!

Durante questo periodo di feste, abbiamo deciso di riproporvi una selezione di vecchi post molto interessanti.

Se non li avete letti in passato, è un'ottima occasione per farlo ora, durante le feste!

Come sempre fateci avere i vostri feedback!

Tantissimi auguri di Buon Natale!

LMJ! Team

venerdì 18 dicembre 2009

L’offerta al momento dell’assunzione: oltre alle cifre c’è di più!


Cari lettori, in questo breve articolo voglio riallacciarmi al tema del post precedente: in barba alla crisi, vorrei ancora parlarvi di stipendio. In particolare ispirandomi a due domande che spesso precedono la richiesta dell’aumento di cui abbiamo parlato la volta scorsa.

Vi è mai capitato di chiedervi:
- Perché mi è stato offerto questo stipendio dopo il processo di selezione? Perché non di più?

- Perché il collega che fa il mio stesso lavoro ed è entrato in azienda dopo di me ha uno stipendio più alto?

In un ambiente di lavoro, è umano fare confronti tra sé e gli altri. Non importa quanto siano ferree le regole di privacy e di passaggi di informazioni: le relazioni interpersonali fanno nascere i “rumors”; questi alimentano interrogativi latenti come quelli sopra, che fanno riflettere le persone su eventuali disequilibri di trattamento che l’azienda offre ai colleghi.

Qui di seguito cercherò in breve di descrivere in base a che cosa un HR consolida la cifra da proporre alla persona al momento dell’assunzione e di farvi capire che non si tratta di una decisione arbitraria, ma del risultato di un processo decisionale che tiene conto di parametri importanti.

Innanzitutto si parte dalla posizione da coprire con la nuova assunzione. A seconda del tipo di responsabilità che essa implica, della tipologia di mansioni e delle competenze che essa richiede, le è stato abbinato un livello contrattuale di inquadramento. Prima cosa che deve fare l’HR, quindi, è partire dalla fascia salariale che la legge stabilisce per quel livello, controllando nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Questo range salariale è poi di solito leggermente modificato da contratti integrativi aziendali oppure anche solo dalle politiche retributive interne dell’azienda. Queste modifche di solito comportano l’innalzamento del limite minimo di stipendio per ciascuna fascia (garantendo così sempre qualcosa in più rispetto al minimo del CCNL) e/o soglie massime di stipendio per ciascun livello.

Il range retributivo così determinato viene quindi confrontato con l’attuale retribuzione del candidato, se questo già lavora presso un’altra azienda. Questa operazione permette innanzitutto di verificare se il costo della persona può rientrare nel budget che l’azienda ha a disposizione (e che purtroppo di questi tempi spesso non permette di offrire i valori massimi delle fasce). Inoltre, ovviamente l’attuale retribuzione fungerà da punto di partenza della nuova offerta: di sicuro, per convincere una persona a spostarsi, non si può scendere al di sotto della cifra che già riceve! Fanno eccezione solo alcuni ruoli particolari che permettono di poter abbassare il lordo annuo, per alzare poi la parte variabile dello stipendio (ad esempio nel passaggio ad un ruolo commerciale).

Questo meccanismo spiega in particolare la seconda domanda riportata all’inizio del post: a volte una persona assunta da un’altra organizzazione, con qualche anno di esperienza alle spalle, finisce per avere uno stipendio più alto rispetto ad una persona che ha sviluppato la stessa indentica seniority nel ruolo, ma crescendo dall’interno. Questa è forse una delle cose che alimentano i peggiori sentimenti di ingiustizia, perché chi è cresciuto in azienda si aspetta anche “qualcosa in più” rispetto ad un “nuovo arrivato”!
Ecco, in aziende sane il modo migliore per ristabilire l’equità interna è pareggiare gli stipendi degli interni con quelli del neo-assunto dall’esterno. Di questi tempi però, non è così semplice e spesso le riduzioni di budget a seguito della crisi economica fanno sì che le situazioni di disparità si prolunghino un po’ di più nel tempo.

In effetti, questo tipo di equità retributiva interna è talmente importante da rappresentare un secondo parametro che l’HR deve prendere in considerazione per formulare l’offerta. Infatti qualsiasi persona, dopo il suo inserimento, si troverà ad operare in un determinato team, di cui l’HR dovrà tenere in considerazione le peculiarità retributive, facendo in modo che l’offerta al candidato sia quanto più coerente possibile con quelle fatte in passato ai suoi potenziali colleghi. Un’armonizzazione di questo tipo ha lo scopo di impedire l’insorgere delle sensazioni di ingiustizia, che all’interno di un team sarebbero deleterie per i risultati e il clima di lavoro.

Come terzo punto l’HR prenderà in considerazione l’esperienza della persona, verificando quanti anni ha già lavorato nel ruolo, con quali responsabilità, etc. Più la persona è esperta, più la posta in gioco sale!

Infine, si terranno conto di “varie ed eventuali”: contro-offerte che la persona può ricevere dalla sua azienda (in questo caso occorre valutare se valga la pena alzare la posta in gioco), trasferimenti di città (valutare quanto viene richiesto dal candidato per lo spostamento), etc.

Ovviamente io sin qui ho parlato del processo dal punto di vista HR, ma ricordatevi che l’ownership del processo è della "linea", ossia dei responsabili della posizione in questione: sono loro infatti a mettere a disposizione il budget e quindi sono loro ad avere l’ultima parola sulla cifra di agreement finale. Il processo che sopra ho descritto, nelle aziende con una radicata professionalità HR, viene solitamente condiviso passo passo con la linea e le decisioni prese insieme. Ma tenete presente che non funziona così dappertutto: la possibilità per le risorse umane di lavorare alla definizione dell’offerta e presidiare il processo dipende dal tipo di ruolo che l’organizzazione accorda alla funzione HR!

E dopo tutto ciò… sta alla persona accettare o meno! Cari candidati, ricordatevi sempre che la decisione finale spetta solo a voi! Dalla mia esperienza di recruiter, so bene che può capitare (più spesso di quanto si immagini!) che - dopo aver sudato sette camicie per alzare l’offerta, ricevere autorizzazioni in tempi record, venire incontro alle esigenze dei vari interlocutori, etc. – il candidato non accetti (o si ritiri)… Per l’HR non c’è nemmeno il tempo di accusare il colpo……. la “caccia al candidato” deve ricominciare subito :-)


Alice

lunedì 14 dicembre 2009

Ci sono ancora i capi “maestri”?



In un mondo in cui tutto è velocità, fretta, (quando non frenesia), c’è ancora tempo per fermarsi ad imparare?

Come sono state le nostre esperienze con i nostri capi? Esistono ancora i capi “Maestri”?
Quei capi cioè che non solo sanno dare l’esempio di “come si fa”, ma che sanno anche raccontare “come deve essere fatto”.

Sanno ancora, i capi, dedicare tempo all’insegnamento? Sanno “allevare” coloro che guideranno l’organizzazione di domani?

Il buon capo dovrebbe essere in grado di trasmettere non solo le tecniche (che poi possono essere imparate sui libri, nei seminari, tramite gli e-learning), ma anche (e forse soprattutto) le conoscenze personali acquisite in anni di esperienze sul campo.

Da una parte i capi (spesso giovani capi, ancora indecisi sul proprio stile manageriale, e iper-concentrati sul sé), dall’altra i giovani collaboratori che desiderano occupare sempre più in fretta posizioni apicali.

In qualche modo si viene a perdere “la gavetta” o il “praticantato” (che solo a citarli sembra collocarsi al di fuori dal tempo e di leggere una pagina del libro “Cuore”).

Nelle botteghe artigiane, ci si formava (non solo semplice istruzione tecnica, ma vera formazione), si imparava, poi finalmente si poteva, a propria volta, divenire maestri. Oggi vi è una certa tendenza a perdere tutto questo.
Effettivamente se si pensa alle botteghe artigiane odierne, molti “maestri” si lamentano che i giovani non sanno più aspettare. D’altra parte i giovani vorrebbero gavette maggiormente tutelate (contratti, contributi …).

Senza “affiancamento”, quanto patrimonio si perde? Quanti errori saranno rifatti, che si sarebbero tranquillamente potuti evitare, solo perché nessuno si è fermato a raccontare che a sua volta quell’errore lo aveva già fatto?

Quante aziende oggi si possono ancora definire “scuole”. Quante organizzazioni si occupano realmente di management nel senso più pieno del termine?

Abbiamo iniziato parlando della velocità. Forse con dei bravi maestri, i tempi (di apprendimento, di realizzazione) si potrebbero anche velocizzare.

E nella nostra esperienza i capi come sono stati?

Sarà un caso, ma oggi anche le grandissime corporation che avevano il vanto (con tutti i pro e contro di questa scelta) di “allevare” i leader del proprio domani direttamente dal loro interno, nel momento delle scelte più significative si rivolgono all’esterno.  

Bisognerebbe, forse, ritrovare gli spazi per un rapporto capo-collaboratore fatto di tempi per l’ascolto reciproco, la condivisione delle esperienze (e dicono alcuni anche delle emozioni).

Risuonano le parole del filosofo francese Gilles Deleuze: “Maestro non è chi dice << fai così >> ma << fai con me >>"



Eugenio Pelitti

martedì 1 dicembre 2009

I want it all… and I want it now! Ovvero come chiedere l’aumento dello stipendio

Doverosa premessa a questo argomento, che è arrivato su LMJ a grande richiesta dei nostri lettori, è un piccolo chiarimento sul tema “stipendio”. Vorrei cominciare facendo notare come esso dipenda non tanto da decisioni arbitrarie del vertice aziendale, quanto invece da tanti altri fattori contingenti, quali: le regole di base poste dai contratti collettivi nazionali, i piani salariali utilizzati dalle aziende concorrenti, i trend economici, lo “stato di salute” aziendale, le competenze e l’esperienza pregressa che ciascuna persona porta in azienda e, last but not least, la performance della persona. Addirittura, nelle aziende più grandi e strutturate, tutte queste informazioni confluiscono in un salary plan, ossia in uno schema che individua minimi e massimi salariali (fasce o range di salario) per ciascun livello di seniority. In questi contesti, le revisioni dello stipendio sono costanti e attuate annualmente tramite una salary review che solitamente coinvolge nella sua messa in atto diversi dipartimenti aziendali (finance, HR, marketing, etc.).

L’obiettivo di questa premessa era farvi capire che purtroppo in molti casi non è così semplice come sembra per un capo concedere un aumento. Detto questo, ogni richiesta è legittima, poiché è bene manifestare subito ogni problema appena si presenta. Quindi voglio provare qui di seguito a darvi qualche consiglio per chiedere il tanto agognato aumento. Ovviamente, per parlarne con il proprio responsabile occorrerà chiedere espressamente un colloquio per poterne parlare in privato. Relativamente a questo incontro, voglio individuare tre fasi che comportano azioni differenti.

LA FASE PRE-RICHIESTA O DI PREPARAZIONE.

Questa fase è fondamentale per l’efficacia dell’incontro. Prima di esporsi chiedendo un aumento di stipendio, occorre, per quanto possibile, documentarsi sulla fattibilità di questa azione.

1. Per prima cosa consiglio di informarsi sull’attuale politica dell’azienda in fatto di salari, vale a dire: si stanno concedendo aumenti a qualcuno? Ci sono restrizioni nel reparto (Cassa Integrazione, esuberi, etc,)? L’azienda sta vivendo un periodo di austerity? Purtroppo oggi sono casi molto comuni… Se la risposta è sì, meglio aspettare tempi migliori per questo tipo di richiesta!

2. Se invece appurate che qualcosa continua a “muoversi”, procedete a una verifica del vostro stipendio attuale rispetto a quanto accade all’esterno. Non è detto infatti che la nostra percezione sia fondata, se rapportata a quanto succede fuori della nostra azienda. A questo proposito, suggerisco di prendere spunto dallo strumento sopra citato della salary review. Questo tool si basa solitamente su di un report che sintetizza la situazione salariale dei vari livelli di seniority all’interno delle altre aziende. Nel nostro piccolo, possiamo anche noi fare una cosa del genere! Provate a fare una piccola indagine di mercato tra le persone che conoscete e indagate cosa viene solitamente offerto a profili e livelli simili al vostro. Siamo sicuri che il vostro stipendio si meriti una “ritoccatina” rispetto a quello che succede ad altri?

3. Se anche in questo caso avete ragione di credere di avere le carte in regola per un aumento, vi chiedo di procedere ad un’auto-valutazione obiettiva e neutrale della vostra performance. Le aziende infatti non possono concedere aumenti periodici, se le persone non portano valore aggiunto alla performance; altrimenti il rischio è che le persone non percepiscano più la necessità di impegnarsi e crescere nel proprio lavoro. Anche in questo caso uno strumento utilizzato nelle grandi aziende può essere d’aiuto per auto-valutarsi in modo obiettivo e realista: la valutazione della performance. Co questo tool ogni anno si stabiliscono obiettivi individuali il cui raggiungimento poi viene verificato l’anno successivo. Allo stesso modo, nel nostro piccolo possiamo chiederci quali fossero i nostri obiettivi e se li abbiamo raggiunti, se la nostra performance professionale è stata sempre costante o se è migliorata, se ci sono state affidate nuove responsabilità che stiamo sostenendo con successo, se stiamo sostituendo dei colleghi o supportando altri in nuove mansioni, etc. Sono queste infatti le cose che possono costituire un valore aggiunto per l’azienda e possono giustificare un aumento di retribuzione!

4. Con queste verifiche vi consiglio di costruire una sorta di “scaletta” per il discorso con cui affronterete l’incontro. Mi raccomando, per ciascun punto portate sempre esempi concreti! Attenzione a non presentare semplicemente delle idee o delle sensazioni personali: per ciascun motivo per cui sentite di meritarvi l’aumento, esprimete al capo esempi reali, al fine di istaurare un dialogo quanto più possibile ancorato a fatti davvero accaduti, che di certo non potranno essere messi in discussione.

LA RICHIESTA VERA E PROPRIA DURANTE IL COLLOQUIO COL CAPO.

Una volta richiesto un incontro personale con il vostro responsabile, durante il colloquio esponete le ragioni verificate nella fase precedente con toni sempre pacati e concilianti. Come ho già detto, infatti, non è automatico per un capo poter concedere aumenti, quindi, se volete persuaderlo per lo meno a portare avanti la vostra richiesta, è importante che non vi presentiate in modo arrogante o polemico. Inoltre, a prescindere dalla risposta che vi darà, con il tono adeguato potete assicurarvi che l’incontro non provochi il deterioramento dei rapporti professionali per il futuro.

Per quanto riguarda invece la cifra da chiedere, non puntate ad aumenti impossibili – tenete presente che gli aumenti possono collocarsi di solito tra il 5 e il 10% dello stipendio. Sappiate inoltre che l’incontro non sarà altro che una negoziazione, quindi utilizzate tutti gli accorgimenti del caso.

Ultimo consiglio, lasciate spazio al vostro responsabile e fatelo parlare il più possibile, anche se capite che la sua risposta sarà negativa. Oltre a lasciare in lui una buona impressione, infatti, questo approccio vi aiuterà a scoprire qualcosa in più sulle scelte aziendali e sulla situazione organizzativa.

LA FASE POST-RISPOSTA O COSA FARE DOPO IL COLLOQUIO.

Dopo la risposta del capo, sia essa positiva o negativa, cercate di capire bene cosa il responsabile si aspetta da voi nell’immediato futuro. Se vi concedono l’aumento: si aspettano qualcosa di più da voi? In questo caso focalizzatevi qui questi nuovi obiettivi per far sì che un nuovo aumento si possa ripetere anche in futuro. Se non ve lo concedono: chiedete al vostro responsabile dove dovete ancora migliorare, con quali scadenze, etc. Fate quindi tutto il possibile per perfezionarvi nel vostro ruolo e giustificare una nuova richiesta di aumento dopo qualche tempo.

Per concludere vorrei approfondire il discorso sulla difficoltà per il capo/l’azienda di concedere un aumento. Aumentare lo stipendio è di certo un modo positivo di offrire riconoscimento alla persona, ma per l’azienda secondo voi dove sta il valore aggiunto? In fondo, anche prima dell’aumento, la persona lavora. E come ho già detto il rischio è che con aumenti non legati alla performance le persone non percepiscano più la necessità di un miglioramento costante. Ecco quindi che l’aumento per le aziende diventa vantaggioso solo nel momento in cui si accompagna a percorsi di crescita individuale. L’azienda è fatta di persone e come tale può crescere solo quando sono le persone stesse a crescere. Solo quando una persona avanza nelle proprie responsabilità o nella quantità dei propri compiti o nelle specializzazioni professionali, l’azienda avrà un concreto vantaggio dalla sua performance e avrà motivo di offrirle un meritato riconoscimento.

Un proverbio cinese recita: “Chi chiede può essere stupido per cinque minuti. Chi non chiede è stupido per tutta la vita”. Eh sì, assolutamente chiedere un aumento è sempre lecito! Tuttavia spero che quello che ci siamo detti possa farvi capire che il modo migliore per chiederlo è mettere da parte le ingenuità del “voglio tutto e subito” e avanzare la domanda con consapevolezza. Consapevolezza di cosa rappresenta un aumento per un’azienda, di cosa lo giustifica, di quale atteggiamento è più efficace per negoziarlo e di quali azioni devono seguire la richiesta.

Alice

domenica 22 novembre 2009

Il recruiting secondo Love My Job!


«"Ho sempre visto il mestiere del cacciatore di teste un po' come..." Mi interrompo, imbarazzata, e prendo un sorso di vino. Una volta ho spiegato a Natalie la mia teoria sui cacciatori di teste e lei ha detto che ero pazza e dovevo guardarmi dal raccontarlo in giro.

"Come cosa?"

"Be', come un'agenzia matrimoniale: abbinare la persona giusta al lavoro giusto".

Pare divertito. "E' un modo diverso di vederla: dubito che la maggior parte delle persone qui dentro sia interessata ad una storia d'amore con il proprio lavoro..." commenta facendo un gesto circolare verso la sala affollata.

"Forse lo sarebbero se trovassero il posto che fa per loro" ribatto. "Se si potesse far avere alle persone esattamente quello che desiderano..." »

- Sophie Kinsella, La ragazza fantasma, 2009 (Mondadori).